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CIÒ CHE NON È IL REGNO DI DIO

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Mt 13, 44-52

"Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra."

*****

Per Gesú è chiaro: il "regno dei cieli" è il tesoro per antonomasia, quello che, una volta scoperto, riempie di gioia traboccante e ci rende capaci di liberarci da tutte le altre cose.
Il passo successivo consiste nel domandarci in che consiste esattamente questo "Regno dei cieli".
Per molto tempo, si pensò che si trattasse del cielo posteriore alla morte, o anche della fede che ci faceva sentire Dio al centro della nostra vita, o persino della stessa Chiesa. Tuttavia, queste letture ci risultano oggi insufficienti e, alla fine, inadeguate per comprendere ciò che Gesú voleva trasmettere.

Il "Regno di Dio" non è il "cielo".

Uno dei motivi per cui si cadde in questa confusione fu dovuto al fatto che fosse proprio il vangelo di Matteo -quello piú letto in tutta la storia della Chiesa- a parlare di "Regno dei cieli". Ma è ovvio che tale denominazione è dovuta unicamente al fatto che, nel giudaismo, si evitava di pronunciare il nome divino, sostituendolo con qualche altro termine equivalente: Signore, Altissimo, Gloria, Cieli... Sembra però evidente che Gesú non parlasse di un regno che diventerebbe possibile "post mortem", ma del "Regno di Dio" in mezzo alla nostra vita, qui ed ora.
Nell'identificarlo con il cielo, il progetto di Gesú si spiritualizzò e si posticipò, al tempo stesso che in pratica acquistò a poco a poco un tono sempre piú dottrinale e piú individualistico, in linea con il modo in cui si intendeva la "salvezza dell'anima".
Ma a Gesú non preoccupava l'"al di là" della morte, ma l'"al di qua" della vita degli umani. Egli non parla pertanto del "tesoro" come di una realtà futura, ma come un avvenimento presente, che deve solo essere scoperto, accolto e vissuto.
Per lui, il "Regno di Dio" costituisce il segreto ultimo del reale: per questo è fonte di gioia e, allo stesso tempo, di trasformazione personale in radicalità. Si tratta, in definitiva, di un altro modo di vedere e, di conseguenza, di un altro modo di vivere.

Il "Regno di Dio" non è equivalente alla fede.

A volte il Regno è stato identificato con un'adesione mentale a determinate credenze. Il motivo è che, secondo quello che veniva insegnato, era precisamente la fede quella che avrebbe garantito la nostra salvezza eterna. Da qui che si concludesse che si entrava nel Regno attraverso la fede.
Tuttavia, il Regno non è oggetto di fede, nello stesso modo in cui un tesoro non è una cosa "creduta", bensí "scoperta". Nel ridurlo però a un oggetto di fede, il tesoro smetteva di esserlo, perché né si vedeva né si sperimentava.

Il "Regno di Dio" non è la Chiesa.

Per secoli, in un'ecclesiologia che non è ancora del tutto superata, si arrivò ad identificare, in pratica, il Regno con la Chiesa, certe volte contrapponendola addirittura con il "regno del mondo".
Questa confusione portò ad assolutizzare la Chiesa -e il potere gerarchico al suo interno- e a viverla scontrata col "mondo", che era ritenuto peccatore e avversario. Le conseguenze di tale posizione si manifestarono presto in forma di dualismo quasi manicheo, fondamentalismo, fanatismo e proselitismo.
Se teniamo conto che Gesú non fondò mai una chiesa, avvertiremo facilmente che un tale "slittamento" -dal Regno alla Chiesa- non solo era privo di ogni fondamento, ma diede origine a pericolosi malintesi e a credenze settarie.
Il "Regno di Dio" è un'espressione che indica il progetto di Gesú. Con esso si mira a un tipo di comunità umana retta dalla fraternità, a partire dalla consapevolezza di condividere la stessa origine e la stessa fonte (Dio, "Abba").
E, dato che "io e il Padre siamo uno", e il nostro fondo è lo stesso e unico fondo di tutto il reale, il "Regno di Dio" è un altro nome per riferirci a quel fondo che costituisce la nostra vera identità.
In questa prospettiva -e mi sembra fosse cosí come lo viveva e annunciava Gesú-, non è possibile nessun dualismo e neppure nessun esclusivismo. Il Regno di Dio non è separato da niente e non lascia fuori niente, ma è il fondo comune che tutti condividiamo.
E non si tratta, secondo lo stesso Gesú, di credere in lui, ma di vederlo. Quando "tocchiamo" quel fondo che ci costituisce -e costituisce tutto il reale- abbiamo scoperto e palpato il tesoro, ci riempiamo di gioia e "vendiamo" (ce ne liberiamo) quello che abbiamo pur di averlo e, da lí, viverci.


Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini
www.enriquemartinezlozano.com

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