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NON TEMERE

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La colpa come tale non è un’invenzione delle religioni. È una delle esperienze umane più antiche e universali. Prima che appaia il sentimento religioso, si può avvertire nell’essere umano quella sensazione di «aver fallito» in qualcosa. Il problema non è l’esperienza della colpa, ma il modo di affrontarla.

Esiste una maniera sana di vivere la colpa. La persona assume la responsabilità dei suoi atti, si dispiace per il danno che abbia potuto infliggere e si sforza per migliorare la sua condotta nel futuro. Vissuta così, l’esperienza della colpa fa parte della crescita della persona verso la sua maturità.

Ci sono anche maniere poco sane di vivere la colpa. La persona si chiude nella sua indegnità, fomenta sentimenti infantili di colpa e di sporcizia, distrugge la propria autostima e si annulla. L’individuo si tormenta, si umilia, lotta con sé stesso ma, alla fine di tutti i suoi sforzi, non può liberarsene né crescere come persona.

È proprio del cristiano vivere la propria esperienza di colpa davanti ad un Dio che è amore e soltanto amore. Il credente riconosce di essere stato infedele a quest’amore. Questo attribuisce alla sua colpa un peso e una serietà assoluta, ma allo steso tempo lo salva dall’affondare, perché sa che, anche se è peccatore, è accettato da Dio: può trovare sempre in lui la misericordia che salva da ogni indegnità e da ogni fallimento.

Secondo il racconto Pietro, sopraffatto dalla sua indegnità, «si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». La risposta di Gesù non poteva essere diversa: «Non temere», non avere paura di essere peccatore e rimanere accanto a me. Ecco la fortuna del credente: si sa peccatore, ma allo stesso tempo si sa accettato, compresso e amato in modo incondizionato da quel Dio rivelatosi in Gesù.

 

José Antonio Pagola

 Traduzione: Mercedes Cerezo

Publicado en www.gruposdejesus.com

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